Covid-19. Approccio diverso tra i tempi di San Carlo Borromeo, e quelli di oggi.

borromeo-sfila-FiamminghinoSulla relazione tra Covid-19 e vita della Chiesa avevo scritto l’articolo precedente.

Oggi commento, ancora sul blog Breviarium,  questo articolo, quarto di una serie, nella quale per tre volte già annotai sul medesimo sito che, circa gli esempi storici di Pastori citati da Breviarium medesimo per come si erano contenuti nelle circostanze dei flagelli epidemici, non si evinceva che i vescovi protagonisti nei tempi e nelle diverse piazze, di peste e colera, che furono San Carlo Borromeo, il cugino Federigo,  Luigi Tosi, Angelo Ramazzotti, Marcello Semeraro. avessero mai, nelle rispettive epoche, sospeso le Messe alla presenza del popolo, come è invece accaduto oggi. Questo ulteriore intervento odierno è utile perché ci offre anche l’occasione di approfondire:

  1. i precedenti storici della questione;
  2. il discorso delle Messe in TV;
  3. il rapporto tra la Chiesa e il potere politico, in circostanze come quella presente.

Di seguito, il testo del commento.

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Aggiornamento: non vedrete i miei commenti su Breviarium, per il motivo che i gestori del sito li hanno tutti rimossi. E’ un comportamento un po’ a metà fra la stampa di regime sovietico e l’asilo infantile. Ma, grazie a Dio, l’uomo non è definito dalle sue azioni, nel senso che c’è sempre spazio per la Redenzione. Il tutto non è poi così importante, nel senso che gli argomenti che avevo messo insieme per costruire un ragionamento, restano a disposizione in questo post.

Screenshot Breviarium

screenshot di un commento rimosso

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Ulteriore aggiornamento, in data 22.4.2020

ieri, 21 aprile, il responsabile di Breviarium mi ha interpellato via facebook per chiedermi conto dell’aggiornamento precedente:

mi sono per caso imbattuto in questa cosa…
mi limito a osservare che nessuno ha cancellato alcun commento
https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2020/03/30/covid-19-approccio-diverso-tra-i-tempi-di-san-carlo-borromeo-e-quelli-di-oggi/
per amor di verità, dovresti rettificare e chiedere scusa
Sarebbe buona norma di cortesia, specie quando ci si rivolge così perentoriamente a qualcuno con cui non si ha confidenza, qualificarsi e porgere quantomeno un cenno di saluto. Ma prendo atto che non c’è più l’educazione di una volta, me ne faccio una ragione, e – per questa volta – rendo conto su quanto sono stato così poco urbanamente interpellato.
La materia, da una parte non è così importante, come ho scritto nell’aggiornamento precedente: è solo un pur duro scambio di battute in una delle infinite discussioni che ci sono oggi in rete. Cosa volete che sia, in confronto a quello che succede nel mondo. Ma è pur vero che la materia è anche importante, perché l’agone del pubblico ragionamento, in un confronto anche severo ma fatto in modo educato, è ormai una delle poche cose di valore che ci sono rimaste. Quindi procediamo senz’altro, e andiamo a verificare. 
Come ho scritto in apertura, a suo tempo ho commentato via facebook,  su Breviarium, tre articoli, qui 1l 24 febbraio, qui il 6 marzo e qui, l’11 marzo. Dopo aver commentato per la quarta volta, qui il 28 marzo, qualche giorno dopo ho visto che tutti i miei commenti erano scomparsi, e quindi ho scritto quello che ho scritto nell’aggiornamento precedente. Ieri, verificando, dopo aver ricevuto il messaggio dal responsabile di Breviarium, sono andato a rivedere, e ho ritrovato i primi tre commenti.
Ora, a suo tempo, non mi sono messo, ex post, a fotografare le pagine di Breviarium vuotate dei miei primi tre commenti. Anche perché, logicamente, non le avevo fotografate prima, e quindi non mi è venuto in mente di farlo. Però, quando mi sono accorto della cosa, oltre ad aver verificato nuovamente la scomparsa di tutti i commenti, tanto il fatto pareva strano, per esser sicuro di non essermi sbagliato, il 31 marzo alle 01.15 ho postato nuovamente il testo del commento che avevo già inserito il 28 marzo, ma stavolta ho fatto uno screenshot: 
Screenshot Breviarium 31.3.2020, h. 01.15
Ebbene, il giorno successivo il commento non  era più visibile, e non lo è più stato, quantomeno fino a ieri 21 aprile alle ore 19.08, quando ho fatto quest’altro screenshot, dal quale si evince che sull’articolo in questione non c’è nessun commento facebook:
Screenshot Breviarium 21.4.2020 h.19.08

Quindi, cosa devo pensare?… Prendo atto di quello che mi dice il responsabile di Breviarium, e suppongo che il tutto sia dovuto a un malfunzionamento tecnico del blog da lui gestito. Se così fosse me ne dispiaccio per lui, e mi rallegro del fatto che, in questo  episodio,  non vi fossero le intenzioni censorie che le circostanze mi avevano indotto a  dedurre.

Alla fine, come dicevo in prima battuta, non è un gran problema, rispetto alla drammaticità dei giorni che stiamo vivendo. L’importante è che le cose vengano dette, e per quanto riguarda i contenuti, chi è interessato li può vedere qui di seguito.

Passo quindi a salutare distintamente il responsabile di Breviarium, augurando buon proseguimento e buon lavoro a lui e al suo staff. 

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Ulteriore aggiornamento, in data 19.11.2021

ebbene, il responsabile di Breviarium aveva ragione. Non c’è stato nessun malfunzionamento da parte del suo sito, e nemmeno una volontà censoria. Semplicemente, Facebook aveva ripetutamente rimosso i miei commenti, cosa della quale mi sono reso conto tardivamente. Me ne scuso quindi ampiamente con lui, lieto che, pur in questa piccola cosa, sia venuta fuori la verità. 

PLT

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Se il fine di questo articolo, quarto della serie, era quello di accostare lo spirito e le azioni di San Carlo Borromeo a quello che la Chiesa sta facendo oggi nell’analoga circostanza di una epidemia, traendone una conformità, non mi pare che l’operazione sia riuscita.

Ciascuno vede la differenza di fondo oggettiva, per la quale oggi la celebrazione delle Messe col popolo è sospesa, mentre al tempo della peste di San Carlo esse venivano celebrate, certamente per forza di cose in modalità diversa da quella consueta, ma venivano comunque celebrate, alla presenza del popolo, a suo preciso vantaggio spirituale e corporale. Non ci si sognava nemmeno lontanamente il sine populo, in quelle circostanze peraltro molto più drammatiche di quelle odierne. Infatti, come è noto, il concetto della Missa sine populo risale al Concilio Vaticano II. Come pure, al tempo di San Carlo, venivano fatte le confessioni. Lo dice  lo stesso Breviarium:

Per gli essercitii spirituali di questo tempo ordinò prima che ognuno sentisse Messa divotamente ogni dì; per il cui fece ergere molti Altari per le vie croci, e luoghi cospicui della Città, per dar comodità a tutti di sentir la Messa stando in casa propria.

Ogni giorno i sacerdoti incaricati di recarsi presso le case dei reclusi in quarantena per confessare e comunicare i loro abitanti attraversavano le contrade portando un sedile di cuoio et quelli che volevano confessarsi dimmandavano il sacerdote che passava dalle finestre, et esso si metteva con il suo scagno [sedile] alle porte, et venivano a basso a confessarsi, avendo per tramezzo l’anta della porta.

I fedeli che dopo avere celebrato il sacramento della Riconciliazione intendevano comunicarsi dovevano avere cura di collocare un piccolo tavolo fuori dalle porte delle loro case, in modo che i sacerdoti potessero sapere dove fermarsi. Per comunicare i reclusi ed evitare al contempo che il ministro stesso potesse divenire veicolo del contagio, secondo le norme emanate dall’Arcivescovo la particola doveva essere posta in una lunetta de argento et senza tocare la bocha di quello che lo riceveva li comunicava etiam che fuseno in suspeto dil ditto malle.

San Carlo ordinò inoltre che i sacerdoti, una volta amministrata l’Eucaristia, dovessero passare il pollice e l’indice sopra la fiamma di una candela allo scopo di disinfettarle. Da parte sua il Borromeo, durante la quarantena, continuò a visitare i milanesi reclusi, sani ed ammalati, per portare loro i Sacramenti ed il conforto derivante dalla sua paterna presenza”.

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Colonna del Verziere, Milano, a ricordo della relativa croce stazionale della peste

Al tempo di oggi, non si sono fatte nemmeno le processioni, che evidentemente per San Carlo erano importanti, certo non meno dell’assistenza materiale prestata agli ammalati:

Per impetrare da Dio la grazia della fine dell’epidemia San Carlo dispose lo svolgimento di quattro processioni alle quali avrebbero potuto prendere parte solo gli uomini adulti, divisi in due file di una sola persona e distanti l’una dall’altra circa tre metri, vietando la partecipazione degli infetti e dei sospetti di contagio. Il Borromeo guidò, a piedi scalzi e con una corda al collo, la prima processione dal Duomo fino alla Basilica di Sant’Ambrogio..”

E’ un semplice dato di fatto. E dove Brevarium dice

Per questa ragione il cardinale Borromeo si fece promotore, presso le istituzioni pubbliche, dell’opportunità di disporre la quarantena generale per l’intera città di Milano, accettandone anche l’ulteriore prolungamento, ben consapevole che tale misura avrebbe comportato l’impossibilità per il suo sofferente gregge di recarsi nelle chiese, che, come lui stesso scrisse, «restarono solitarie» per mesi…”

sì, appunto, le chiese restarono solitarie, perché, come dice anche qui in questo bel sito web storico milanese http://milanoneisecoli.blogspot.com/2019/04/le-croci-stazionali-della-peste-di-san.html

In occasione della peste del 1576, il cardinale Carlo Borromeo, per la cura delle anime, organizzò all’aperto (piazze, crocicchi, sagrati) continue messe e preghiere collettive, in modo che non mancassero i Sacramenti al popolo (che non frequentava quasi più le chiese, sia perché temeva i contagi uscendo dalle abitazioni, dove peraltro era spesso recluso in quarantena per disposizione dell’autorità sanitaria, sia perché le chiese stesse si trovavano in stato di abbandono). A tal fine, il Borromeo ordinò che venissero erette nei vari incroci cittadini, nei cosiddetti carrobi, all’incirca venti basamenti in pietra sormontati da una croce. Così, gli abitanti di ogni quartiere partecipavano quotidianamente alle messa direttamente affacciandosi alle finestre di casa”.

Insomma, al tempo della peste di San Carlo, in qualche modo le Messe venivano dette alla presenza del popolo, insieme a pubbliche preghiere collettive, al vero, non in TV. Oggi no. Questo è un dato di fatto. E’, semplicemente, quello di allora, un approccio diverso alla questione, rispetto a quello di ora. Il negarlo, il voler tirare la tonaca a San Carlo per avvalorare la propria tesi, l’insistere a dire che oggi si fa come si faceva allora, appare – spiace dirlo, ma questa è la quarta volta – quella che non so definire altrimenti che una forzatura ideologica della Storia, un atto di disonestà intellettuale. E questo lo dico come semplice evidenza logica, anche a prescindere dal merito della questione. 

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Resta inteso che se oggi le Messe col popolo si fossero celebrate, ciò si sarebbe avvenuto con le normali cautele di buon senso, come annota il Direttore della Nuova Bussola Quotidiana, Riccardo Cascioli, qui https://www.lanuovabq.it/it/piu-messe-i-vescovi-polacchi-indicano-la-strada, e come d’altronde si sa che ci si sta contenendo in Polonia, e anche in Spagna https://www.lanuovabq.it/it/non-possiamo-privarci-della-messa-ora-che-il-virus-ha-smascherato-lindividualismo.

Per quanto riguarda la considerazione della vicenda dal punto di vista più politico dei rapporti tra Stato e Chiesa, credo che molto buon senso sia stato espresso dal prof. Stefano Fontana, qui, ancora sulla NBQ https://www.lanuovabq.it/it/leone-xiii-e-lo-stato-che-chiude-le-chiese, dove Fontana fa riferimento a Leone XIII:

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…Nell’enciclica Diuturnum illud del 1881, Leone XIII esortava le autorità politiche “affinché tutelino la religione e, ciò che interessa anche allo Stato, lascino che la Chiesa goda di quella libertà di cui senza ingiuria e comune detrimento non può essere privata”. E continuava dicendo: “Le cose che si riferiscono all’ordine civile essa [la Chiesa] riconosce e dichiara che  appartengono alla loro potestà e al loro supremo imperio: in quelle il cui giudizio, sebbene per diversa ragione, appartiene alla sacra e alla civile potestà, essa vuole che esista fra ambedue la concordia, grazie alla quale si evitino all’una e all’altra funesti dissidi”. In altre parole: non è che per evitare i dissidi si debba rinunciare ai diritti della Chiesa, piuttosto è vero che tutelando i diritti della Chiesa si evitano i dissidi”.

La differenza tra l’esempio di San Carlo e quello che è avvenuto oggi in Italia, credo sia un unicum nella storia della Chiesa. Ben s’intende, ove la Chiesa non avesse sospeso le Messe di sua volontà, ma vi fosse stata obbligata con la forza. Questo lo osserva puntualmente oggi l’Avv. Giovanni Formicola in questo suo pregevole intervento su Stilum Curiae, qui  https://www.marcotosatti.com/2020/03/30/formicola-chiese-chiuse-per-ordine-del-governo-un-precedente-rischioso/, del quale suggerisco la lettura integrale. Cito:

Finalmente, il 23 novembre [1793], la Comune decretò che le chiese e i templi dei vari culti esistenti a Parigi sarebbero stati immediatamente chiusi. Chiunque ne avesse sollecitato la riapertura sarebbe stato arrestato come sospetto, e i preti resi responsabili dei turbamenti che sarebbero potuti nascere a tal motivo” (Pierre Gaxotte, La Rivoluzione francese, trad. it. Rizzoli, Milano 1949, p. 353).

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Le Beate martiri di Compiègne

Il ministro cattolico del governo repubblicano spagnolo, il basco Manuel Irujo Ollo [1891-1981], in un memorandum sulla situazione della Chiesa nel territorio controllato dalla Repubblica, da lui presentato il 7 gennaio 1937 al Consiglio dei ministri, dichiara che «Tutte le chiese sono state chiuse al culto. Esso è pertanto totalmente sospeso». E per “culto” s’intendevano celebrazione pubblica della Messa, battesimi, matrimoni, funerali, tanto che, quando le truppe liberatrici di Franco entravano nelle città occupate dai socialcomunisti, correvano loro incontro donne per far battezzare i bambini che recavano in braccio, e coppie che chiedevano  il sacramento del matrimonio (cfr. il mio Difesero la fede, fermarono il comunismo. La Cristiada, Messico 1926-1929. La Cruzada, Spagna 1936-1939, Cantagalli, Siena 2019, cap. 3, par. 3, pp. 129-134, e pp. 148-149 [un po’ di auto-pubblicità non guasta]).

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la Guerra civile spagnola

Due esempi fra tanti del fatto che non è mancata nella storia la chiusura delle chiese per la proibizione/sospensione del culto nelle sue forme pubbliche. Ma finora, sempre per l’imposizione da parte di un potere rivoluzionario che non poteva non perseguitare il cristianesimo, da parte di autorità civili anti-cristiane che attuano la profezia di Cristo Gesù nei secoli (Gv 15,18-21; Mt 10,16-23). Oggi però ci ha tragicamente pensato, l’ha deciso, la Chiesa stessa di chiudere le porte a Cristo, di chiuderLo dentro e impedire ai fedeli d’incontrarLo nella Santa Messa, nonostante il suo mandato, “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11,25), che sebbene non sia stato audio-registrato non è mai stato inteso e praticato “da soli”.

In realtà, proprio mai, no. Un precedente c’è della chiusura delle chiese e della sospensione volontaria del culto pubblico da parte dell’autorità ecclesiastica. Il 31 luglio 1926 tutti i vescovi del Messico, uniti ai loro sacerdoti e ai laici attivi nel contrastare la persecuzione di stato in atto, decretarono la chiusura di tutte le chiese – dalle quali però portarono via il Santissimo (non lo chiusero dentro, non lo “imprigionarono”) – e la “serrata” del culto. Questa però fu un’estrema protesta – discutibile quanto si vuole – contro una persecuzione che stava assumendo toni via via più aggressivi, e contro l’esproprio dei templi da parte del governo. E però il culto proseguì, da libero e pubblico divenne clandestino, ma Messa e sacramenti non mancarono per i fieri e coraggiosi che li chiedevano, grazie ai pochi eroici sacerdoti non uccisi, o imprigionati o esiliati dalla tirannia social-massonica, gli uni e gli altri a rischio della vita (cfr. Difesero la fede, cit., cap. 2, par. 3, pp. 72-90). E la persecuzione nei confronti del cristianesimo in Messico assunse anche un pretesto igienico-sanitario, che non sfuggì al Pontefice allora felicemente regnante (si badi: Pio XI scrive quando la “serrata” religiosa di protesta era già in atto).

“In alcune zone sono state poste condizioni tali all’esercizio del ministero, che, se non si trattasse di cosa tanto lagrimevole, moverebbero alle risa: come per esempio, che i sacerdoti debbono […] non battezzare se non con l’acqua corrente”, per ragioni di pubblica igiene (Pio XI, Lettera Enciclica Iniquis afflittisque, contro le persecuzioni ai danni della Chiesa in Messico, 18 novembre 1926).

Tanti buoni cristiani contro-rivoluzionari in Francia, in Spagna, in Messico e in tanti altri luoghi presero persino le armi per riconquistare o difendere la libertà d’andare a Messa, di ricevere i sacramenti, di entrare in una Chiesa per adorare l’Ospite cui non è impedito di ricevere; insomma, di vivere la fede.

Oggi, invece, gerarchia, clero e laicato, rassegnati, parlano di “obbedienza”, che diventa un idolo, nel momento in cui da mezzo si trasforma in fine.

Così ha ritenuto di esprimersi un noto e serio intellettuale cattolico:

“Senz’altro, se ci vengono pensieri di critica verso le indicazioni delle autorità civili e religiose, possiamo essere certi che non vengono dal Signore”.

Io non so se avrebbe detto lo stesso nella Francia rivoluzionaria, nella Spagna repubblicana social-comunista, nel Messico social-massonico, etc.. Ma certo, sia pure con mezzi diversi, pacifici, oggi come allora il culto pubblico è sospeso, è interdetto. E tale interdizione è persino consentita, se non applaudita, per la sua “giusta” causa.

Il che è assai pericoloso. Infatti, per ciò solo viene completamente sovvertita la gerarchia delle cause. Cioè si perde il senso del soprannaturale, per cui la Messa che viene comparata, anzi subordinata, ad esigenze – quanto fondate io non lo so, ma diamo per scontato che le siano – naturalistiche, perde, o rischia seriamente di perdere, non in sé stessa, ovvio, ma nella coscienza diffusa la sua dimensione infinita. Sociologicamente perde il suo rango: la domenica, come è sospeso il campionato di calcio, così si sospende la partecipazione alla Messa del popolo cristiano.

Sento già il solito idiota che dice “questo riguarda solo i credenti, che non possono imporre le loro considerazioni a tutti gli altri, che non credono, o credono diversamente”. Appunto, riguarda i credenti, che non possono farsi imporre considerazioni sulla Messa che non sono le proprie. Poi, l’entità cosmica e assoluta della Messa non dipende dalla fede di chicchessia, ma solo da quella del sacerdote che la celebra, che se non intende fare quel che fa la Chiesa, allora non è celebrante di nulla. Però, quando è celebrata, anche eventualmente dal peggiore dei sacerdoti, essa vale infinitamente più dell’intero universo e di tutta la storia umana, così come la legge di gravità si applica anche a chi stoltamente la negasse.

Da questo deriva un’altra conseguenza. Se lo stesso idiota di prima dicesse che è questione di bene comune, cioè io posso pure da credente espormi al contagio, ma se mi colpisce rischio di danneggiare un numero indefinito di altri, rispondo non tanto naturalisticamente – non è dimostrato in alcun modo che l’ingresso in chiesa con le stesse precauzioni dell’ingresso al supermercato, o la partecipazione alla Messa anch’essa con precauzioni, siano rischiosi, e soprattutto ad oggi li siano ugualmente ovunque -, ma sempre nel modo cristiano che m’hanno insegnato. Se penso che andare a Messa, adorare il Signore, pregarlo, confessarmi e comunicarmi, possa essere dannoso o anche solo pericoloso per la salute pubblica; se temo la vita cristiana perché potrebbe essere pregiudizievole per la vita naturale mia o altrui; allora altro non sono che un uomo di poca o nulla fede. Le chiese sono rimaste aperte, le Messe pubbliche sono state celebrate, i sacramenti sono stati impartiti, là dove la Chiesa non è stata impedita, sotto le bombe, in tempo di peste, di colera, di influenza “spagnola” (salva, per quest’ultima, qualche piccola eccezione locale negli Stati Uniti, che tuttavia non so come fu accolta dal Papa di allora). E certamente questo è stato benefico anche per i c.d. non credenti o diversamente credenti: la pioggia di grazie bagna tutti, irriga ogni suolo, serve il bene comune più d’ogni predicozzo moralistico (…)

download (4)Circa le Messe in TV, in sostituzione di quelle sospese per l’emergenza sanitaria, anche questo tema è spinoso. L’Avv. Formicola ragionevolmente osserva:

…Ma non solo. A mio avviso con poca lungimiranza si suggerisce, non potendo andare a Messa, di guardarla in televisione (il che evidentemente non ha alcuna connotazione negativa). Noi preferiamo la strada comoda e in discesa. E certo, tra andare a Messa e guardarsi una Messa, la seconda è più “facile”. Quindi è possibile che si prenda una cattiva abitudine, cioè si pensi che la Messa in televisione valga quella presa personalmente. Allora dev’essere ben chiaro che la Messa in televisione (o in alta modalità a distanza) sta alla Messa, come un’immaginetta sta alla Santa Ostia consacrata. E poi pensiamoci bene: al momento della consacrazione c’inginocchiamo? E davanti a chi? Al Signore? NO! Davanti ad uno schermo! Nessuno pensi di lavarsi la coscienza proponendo, in alternativa alla presenza al santo sacrificio, quello che non può essere nemmeno considerato un surrogato, figuriamoci una valida sostituzione. Senza dire che la Messa è quanto di meno televisivo esista, e potrebbe persino venire ulteriormente a noia.

Io temo davvero che dopo quest’esperienza il rischio di vedere le nostre chiese sempre più vuote sia serio”.

download (3)In effetti, quando si ha fame, mangiare un piatto di pastasciutta col sugo, non è proprio la stessa cosa che vederlo in TV. Ma se non si ha fame…

Alla fine, nella circostanza del Covid-19, si è visto che le attività ritenute importanti sono rimaste aperte, come i tabaccai, i negozi di telefonini e i supermercati, per accedere ai quali la gente si adattava a fare code di ore, senza troppo lamentarsi. Le attività ritenute invece superflue, come il Parlamento e le Messe, sono state invece sospese. D’altronde, per le Messe, è anche logico: se l’approccio alla questione è che quello che io faccio – tipo andare a scuola, per uno studente – c’entra con la mia vita, lo farò volentieri. Diversamente, ogni occasione per bigiare sarà la benvenuta. Solo se gli educatori credono a quello che fanno, potranno trasmetterlo con efficacia. Diversamente, insegnare sarà una sofferenza… per loro, e per i loro allievi.

L’Avv. Formicola fa poi altre annotazioni profonde, circa il senso finale delle cose,  che suggerisco di leggere, al link sopraindicato, e meditare. Già, la salus animarum. Ne accenna anche Breviarium in questo suo ultimo articolo, ma prima, qui, titolava “salus publica suprema lex”. E’ un po’ diverso.

PECULIARE_+il+fine+è+la+salvezza+delle+anime+(salus+animarum+suprema+lex)_+il+bonum+spirituale+e+non+quello+puramente+temporale.

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